Spettacoli - Amleto figlio di Amleto - Policardia Teatro
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Tratto da la Tragedia Di Amleto di W. Shakespeare
Regia: Andrea Elodie Moretti
Musiche: Andrea Tassinari
Adattamento e Traduzione: Andrea Elodie Moretti e Claudia Tinaro
Interpreti: PIETRO ANASTASI, CECILIA DELLE FRATTE, GABRIELE FINZI, DARIO IMPICCIATORE, ELENA TAGLIAGAMBE, ANDREA TASSINARI, FILIPPO CANCELLOTTI, ANDREA AQUILANTE, SIMONE SOMMARIVA, ELODIE MORETTI
Durata: 2,15h circa

“Se è adesso, non è a venire. Se non è a venire, è adesso. Se non è adesso, ciò avverrà tuttavia. Essere pronti, è tutto. Che lascerò dietro di me se tutto resta ignorato? Se tu mi hai mai tenuto nel tuo cuore, rinuncia ancora un momento alla felicità e, in questo mondo crudele, respira ancora e soffri, per dire la mia storia. Muoio, Orazio. Lasciami. Il resto è silenzio”.

Note di intenzione o di regia
Questa versione della tragedia shakespeariana è il frutto primigenio di una relazione di scambio di visioni ed esperienze tra gli attori provenienti da Les Bouffes du Nord di Parigi – Mamadou Dioume, Bruce Myers, Jean-Paul Denizon e Corinne Jaber – e gli attori formati alla Policardia Teatro Centro di Creazione della Versilia.
L’intento che ha acceso la scintilla e motivato l’esplorazione del dramma è scaturito da un incontro tra la necessità interiore del regista Moretti di penetrare la radice universale dei conflitti familiari, e l’invito accogliente del maestro Myers di attraversare la storia di Amleto e la tragedia di Shakespeare. Punto di contatto, la rilettura drammaturgica di Peter Brook: La Tragédie d’Hamlet.
La versione di Brook del 2000 è stata adattata reinserendo alcuni dialoghi ritenuti fondamentali per lo sviluppo di personaggi o di tematiche interessanti, e tradotta in un italiano attuale che nulla perde o disperde della mescolanza tipica shakespeariana dell’aulico e del popolare.
Così, seguendo le orme della drammaturgia di Brook e intrecciando i fili della ricerca del Centro, Elsinore torna con la sua corte e il suo lutto che chiede vendetta.
Amleto figlio di Amleto, narra la storia di un uomo che accede alla dimensione dell’invisibile reso visibile, aprendo la porta della gabbia di illusioni che imprigiona le certezze della sua vita e della sua famiglia: un uomo come tanti o, forse come pochi, toccato da un verità più alta che lo invita ad una visione più profonda per squarciare il velo delle apparenze e attraversare la soglie della realtà. Sono le soglie che lo connettono al sé e le soglie che lo relazionano all’altro da sé. Quest’uomo è Amleto, che apre le gabbie degli io, apre le dimensioni dell’umano.
Dall’io all’umano passano le relazioni con le radici del proprio albero, con i loro nodi ed intrecci: i disastri familiari dovuti a sotterranee incomprensioni o silenzi (Amleto e Gertrude), o quelli dovuti ad eccesso di cura o cieca amorevolezza (Polonio e Ofelia). Passano anche le relazioni con i rami e le foglie: i bisogni di amicizia e di fiducia su cui innestare legami sinceri (Amleto e Orazio), o spezzare quelli putridi (Amleto e Rosencrantz e Guildenstern).
Passano infine le relazioni con il cielo che si sfiora e la luce che illumina: lo spettro del re Amleto viene a chiederci di noi, del nostro modo di trascorrere l’esistenza; viene a chiederci di dire la verità. Il nostro compito, allora, è di interrogarci, perché la comprensione ci liberi; interrogarci come fossimo Amleto, per arrivare finalmente a fare silenzio.
Un cerchio di attori in Italia continua un lavoro iniziato anni fa tra le mura de les Bouffes, soffiando sulla brace delle storie e delle possibilità per sentirne ancora il calore, e continuando a spargere faville di teatro necessario. Questa volta attraverso Shakespeare, con Amleto.
Amleto figlio di Amleto è per un teatro povero dove a riempire lo spazio della scena è l’immaginazione dello spettatore e non l’arredo; per un teatro essenziale che punta al dettaglio e non all’abbondanza. In uno spazio vuoto, sono i corpi e il movimento, la musica e le parole a riempirlo di senso e di presenza.

Spazio
Lo spazio scenico in cui si gioca il dramma è uno spazio vuoto di quinte e scenografie. Gli attori sono tutti sempre presenti, sempre pronti. È la relazione con lo spazio a determinare l’entrata o l’uscita dall’azione.
Il luogo scenico può essere individuato ovunque, in interni o esterni, giardini o parchi e luoghi storici. Uniche esigenze tecniche la sufficiente ampiezza per permettere il movimento e l’azione di 10 attori, e la disposizione degli strumenti di due musicisti; e una buona acustica.

Oggetti
Gli oggetti sono pochi, semplici e versatili, già presenti sul luogo della scena.
Una coppa stilizzata per Re Claudio e Gertrude, un cesto di fiori per Ofelia, un libro per Amleto, e canne di bambù che si prestano ad una trasformazione immediata, da picconi di guardia a spade da duello.
Anche qui, è la relazione dell’attore con l’oggetto a renderlo visibile in scena ed è l’immaginazione dello spettatore a trasformalo di volta in volta quando necessario.

Costumi
I costumi si giocano sul filo doppio della quotidianità e dell’aristocrazia, senza scadere né nell’una né nell’altra, ma concedendo ad un pantalone e una camicia di tinte pastello di echeggiare la regalità di corte con un tocco di luce e di colore dato dai piccoli foulard che fasciano i polsi o le braccia e, particolarmente, dai tessuti che avvolgono le spalle e il corpo degli attori.
I tessuti, dai colori caldi e i riflessi bronzati, caratterizzano il personaggio non solo figurativamente – il panna lucido è il drappo di Polonio, il rosa antico è quello di Gertude – ma anche simbolicamente – il nero del lutto e della profondità dell’animo di Amleto, il rosso dell’amore fraterno e della passione vitale di Laerte – creando intrecci visivi di caratteri e personalità.
I costumi, inoltre, si fanno indice figurativo per cui uno stesso interprete, con un cambio di drappo, agisce un cambio di personaggio. Infine, si fanno oggetto d’arredo, come il nascondiglio fatidico di Polonio o il corpo esamine di Ofelia.
Pochi passaggi di colore, gli interpreti assumono altre sembianze, la scena cambia aspetto, ma spetta al pubblico interpellare l’immaginazione e partecipare al senso della metamorfosi.

Musica
La musica non è un elemento accessorio, pensato a priori e per fini estetici, ma un elemento che va a toccare le corde dell’emozione ad un livello più essenziale per attori e pubblico, in cui il musicista è attento a ciò che accade in scena modulando di volta in volta i suoni in relazione con ciò che avviene al momento. Musica e attori, così, scambiano continuamente durante tutto il progredire dello spettacolo, alimentandosi a vicenda, suggerendo stati d’animo e cambi di ritmo, dando continuità alla narrazione, evidenziando e rendendo “meglio visibile” il contenuto già intrinseco nelle parole del testo.
Lo strumentario, disposto in tutti i suoi elementi, alla destra del pubblico, è vario ed eterogeneo comprendendo strumenti europei, ma anche alcuni idiofoni e percussioni provenienti dall’Africa e dall’Asia. Alcuni di questi sono legati profondamente ad un attore, così come alcuni leitmotiv sono legati ad un determinato personaggio.

Il musicista in scena insieme agli attori e tra i personaggi, crea trame sonore che introducono e accompagnano lo spettatore all’incontro con la storia e, assieme a lui, ne è testimone.

Testo
Il testo è stato il primo fuoco della messinscena, quello intorno al quale il cerchio della Policardia si è riunito per ore, per giorni, assaporando le parole, il loro senso e la loro risonanza.
Il testo di riferimento, l’adattamento di Brook e Carrière, ha rappresentato un testimone che da Les Bouffes è passato alla Policardia, per proseguire un cammino e andare oltre.
La Tragédie d’Hamlet, essenziale, con il taglio o la traslazione di alcuni atti o scene, trascritta in un francese viscerale e ruvido, è stata tradotta, reintegrata di alcuni passi e dialoghi e consegnata agli attori e al pubblico in un italiano attuale, che mantiene la mescolanza tipicamente shakespeariana dell’aulico e del popolare, del verso e della prosa.
Amelto figlio di Amleto parla a tutti, al pubblico bambino e a quello adulto, con la stessa semplicità ed immediatezza.
In questo spazio pieno dell’energia dei corpi, ma privo della forma tempo, gli attori sono fantasmi eterni che vengono a raccontarci una storia.